Produzioni di Ultimi Fuochi Teatro

EUREKA!

di Alessandro Miele
con Cosimo Costantini e Luca Hako
regia Alessandro Miele
produzione Ultimi Fuochi Teatro

Ultima produzione di Ultimi Fuochi Teatro, nasce dal proposito di raccontare la storia di chi fa progredire la società attraverso la scienza, mettendone in luce la capacità di ascolto del presente e la determinazione nel superare gli ostacoli. 

Il processo creativo della compagnia è partito dallo studio di alcune figure di scienziati concentrandosi poi sui dubbi e i rischi che ogni scoperta scientifica porta con sé.

Da qui è sorta l’idea di mettere al centro dello spettacolo uno dei temi più controversi del presente e sicuramente più vicini al mondo dei più giovani: lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.

Che succederebbe se due studenti universitari imbranati alla ricerca della scoperta del secolo riuscissero a inventare un’intelligenza artificiale dotata di una coscienza e capace di distinguere il bene dal male? Una creazione così rivoluzionaria aiuterebbe a risolvere gli eterni problemi dell’uomo (guerre, povertà, disuguaglianze) o sarebbe strumentalizzata da chi pensa soltanto a imporre il proprio potere?

Durata 60′

 

 

L'OSCURO ROVESCIO DELLE COSE

di Alessandra Crocco e Alessandro Miele
con Alessandra Crocco
suono Shari DeLorian
foto Gabriele Albergo
scene Ludovica Diomedi e Elisa Gelmi
luci Angelo Piccinni
regia Alessandro Miele
produzione Ultimi Fuochi Teatro

Grazie a Rodolfo Sacchettini e Giovanni Maccari

Dalle opere di Tommaso Landolfi vengono estratti alcuni nuclei, cuori di senso, di atmosfera.

La drammaturgia procede per frammenti conducendo lo spettatore da un punto all’altro dell’universo landolfiano come se fosse trascinato da violente raffiche di vento. Ci si muove in un labirinto di specchi deformanti, un luogo misterioso che forse è proprio la mente dello scrittore. 

È una febbre, un delirio. Che cosa? La vita (…) Accenna talvolta ad alcunché di filato, sembra proporre uno svolgimento e una conseguenza, ma sono momenti. (…) No, la vera immagine della vita è questa che della mia mi giunge a raffiche dalle quali sarebbe difficile, vano, cavare od astrarre un’alleanza, una parentela, e le quali sarebbe vano voler comporre in un unico vento.

Tommaso Landolfi

Immersa in un gioco che presto diventa una febbre, un delirio, l’attrice attraversa e mette in vita atmosfere diverse, in accordo con il tessuto sonoro ricreato dal vivo da Shari DeLorian e con le fotografie di Gabriele Albergo. Il pubblico viene tirato dentro il gioco per ricomporre il puzzle delle immagini landolfiane; è un rompicapo che potrebbe non portare da nessuna parte se non davanti a quell’ignoto che ci fa noi stessi.

Durata 50′

SONO SOLO UN UOMO

Testo vincitore del concorso di drammaturgia sportiva SportOpera 2005
di Alessandro Miele
con Rita Felicetti e Alessandro Miele
regia Alessandro Miele
assistente alla regia Alessandra Crocco
luci Angelo Piccinni
foto Gabriele Albergo
produzione Ultimi Fuochi Teatro

Roberto Baggio e Ulisse, un mito del calcio e un eroe classico, si fondono in un’unica figura: un uomo stanco alla fine di un viaggio, solo in un campetto di provincia, un posto dove fermarsi per ripercorrere una storia. Pungolato da un’altra figura, l’uomo, mescolando memoria e sogno, inizia un racconto in cui affronta tempeste, infortuni, panchine, mostri mitologici o allenatori ostili, fino ad arrivare all’apice del successo senza mai cedere al canto delle sirene e restando lo stesso di
sempre. Correrà fino allo stremo, vivendo ogni istante della sua avventura calcistica, mai domo, forse “fiaccato dal tempo e dal fato, ma duro sempre a lottare, cercare e trovare né cedere mai” (A. Tennyson).

SONO SOLO UN UOMO crea una sovrapposizione tra Roberto Baggio e Odisseo, un mito dello sport e un mito antico, ripercorrendo le tappe dei loro viaggi travagliati. Come Ulisse si ferma in terre diverse prima di fare ritorno a Itaca, così Baggio passa da una squadra all’altra fino all’addio al calcio e al ritiro in provincia di Vicenza.
In un luogo non-luogo, un luogo della mente, uno schermo – luna, una vecchia porta e una gran quantità di palloni consumati, definiscono un campetto di provincia, o una strada nel nulla, un posto dove fermarsi per ripercorrere una storia. Una storia conclusa, confusa. Il narratore è alla fine del viaggio, non ha più il fisico atletico di un calciatore o di un guerriero, è stempiato, riflessivo, meno impulsivo.
Eppure da qualche parte bisogna cominciare. Spronato da un’altra figura, che cambiando casacca assumerà varie forme, chiama a raccolta le sue forze ed è pronto al racconto. Si comincia dalle battaglie più importanti, quelle combattute nei campi di provincia, con la maglia del Vicenza e della Fiorentina. Sono le prime scintille che hanno fatto nascere il mito di un uomo in carne, ossa e capelli, un ciuffo di capelli… anzi, un codino. Nel ricordo del narratore le imprese calcistiche si trasfigurano nella guerra di Troia, il guerriero armato di pallone si fa strada tra gli avversari, veloce e sicuro del suo multiforme ingegno. Sembra che niente e nessuno possano fermarlo. E invece una prima avversità rallenta il suo viaggio, una ferita al ginocchio sul campo di battaglia lo porta sotto i ferri di un ciclopico chirurgo, pronto ad accanirsi sul calciatore di turno.

E se un dio mi fa naufragare sul mare scuro come vino saprò sopportare, perché ho un animo paziente nel petto: sventure ne ho tante patite e tante sofferte tra le onde e in guerra: sia con esse anche questa.

Odissea, V 221 -224

Il nostro eroe si rimette in piedi e via, di nuovo in viaggio, verso il mare aperto, verso nuovi orizzonti. Naviga fin dove il cielo e il mare s’incontrano e tutto intorno c’è un unico colore, l’azzurro. È l’azzurro dell’Isola di Circe, l’azzurro di una maglia, La Maglia, la divisa della Nazionale che diventa una seconda pelle. E’ arrivato all’apice del successo ma saprà restare lo stesso di sempre. A trasformare in maiali gli uomini non sono i soldi e la gloria. Questi sono solo calamite che attirano i peggiori, li fanno uscire allo scoperto. Baggio non diventa un maiale e non cede al frutto del loto.

Preferisce proseguire, continuare a viaggiare piuttosto che restare fermo a ingrassare, “a cibarsi e obliare il ritorno” (Odissea, IX 92-97).

Il tempo passa e il viaggio inizia ad avere un sapore più malinconico.

Ogni partita che gioco è una partita in meno di quelle che mi restano. E solo ora riesco a capire che quando si arriva al punto di cambiare una regola a macchina in corsa, vuol dire che non c’è più giustizia certa. (Roberto Baggio)

Ma non è ancora tempo di fermarsi se è ancora forte la voglia di testare i propri limiti e di conoscere. Il nostro eroe prosegue il viaggio e anche quando sarà tornato finalmente a casa, a Brescia, dovrà ancora superare una prova, dimostrare per l’ennesima volta che un “vecchio” esperto di gare può stendere con colpi ben assestati uno stuolo di giovani pretendenti/calciatori senza anima. Correrà fino allo stremo, viaggerà fino a consumare e vivere ogni istante della sua avventura calcistica, mai domo … “fiaccato dal tempo e dal fato, ma duro sempre a lottare, cercare e trovare né cedere mai”. (Ulisse di Alfred Tennyson)

COME VA A PEZZI IL TEMPO

di e con Alessandra Crocco e Alessandro Miele
Produzione Ultimi Fuochi Teatro/Progetto Demoni – Capotrave / Kilowatt Festival- Infinito srl

Lo spettatore entra in una casa disabitata da poco.
Ogni cosa è ancora al suo posto e il tempo sembra essersi fermato.
Il silenzio amplifica il distacco tra i il visitatore e un luogo ancora muto.
Ma quella casa è stata vissuta ed è carica di segni che a poco a poco iniziano a parlare.

Dal silenzio riaffiorano ricordi, momenti differenti, legati eppure distanti. Le porte, le stanze, gli oggetti, gli odori raccontano una storia, evocano le persone che hanno abitato quel luogo, le chiamano a ripetere scene già vissute.

“Le case non conservano fantasmi ma trattengono gli effetti degli ultimi gesti di vita.” (Elena Ferrante)

Lo spettatore viene condotto dentro la storia, attraversando le stanze e nello stesso tempo le vite di chi le ha abitate, testimone discreto dell’eco di un passato che risuona ancora una volta. Tenuto sul limite tra mondo reale e mondo immaginario, potrà quasi toccare i due personaggi ma non intervenire perché tutto e già accaduto. Vedrà i due rincorrersi, incontrarsi e separarsi nelle diverse stanze e infine lasciare l’appartamento per sempre. Il visitatore si ritroverà quindi di nuovo solo, nel silenzio irreale della casa inanimata eppure ormai familiare. Il distacco provato all’ingresso cederà il passo alla sensazione che si prova quando si abbandona un luogo pieno di ricordi.

Le cose belle giungono a un certo punto e poi cadono e svaniscono, esalando memorie mentre si distruggono

Francis Scott Fitzgerald

Come va a pezzi il tempo è un ritorno ai luoghi non teatrali che erano stati al centro di Demoni-frammenti, il nostro primo progetto.
Di questa modalità di lavoro ci interessa la vicinanza tra attori e spettatori e la ricerca di una recitazione fatta di piccole sfumature, quasi cinematografica.
In Demoni-Frammenti avevamo estratto da Dostoevskij tre episodi che venivano programmati in giorni diversi, offrendo allo spettatore un appuntamento quotidiano con i personaggi del romanzo.
In Come va a pezzi il tempo invece proviamo a riunire i frammenti di una storia in un unico piano sequenza considerando l’occhio dello spettatore come l’obiettivo di una telecamera. 

E’ una storia ridotta in pezzi, come la memoria di una vita, come un sogno ripercorso con la mente al risveglio. E’ l’ultimo canto di un luogo prima che il tempo lo faccia lentamente decadere.

 “Un teatro che scava nell’intimo e lì rimane, parlandoci direttamente e profondamente e proprio per questo facendosi universale. Una cifra stilistica pienamente raggiunta non solo grazie alla modalità di scrittura in sottrazione, ma anche per lo studio dei luoghi che Progetto Demoni porta avanti da anni, con amorevole cura e appassionata dedizione.”

È una precisissima macchina della nostalgia, la nuova opera di e con Alessandra Crocco e Alessandro Miele presentata in prima assoluta a San Sepolcro all’interno di una vecchia abitazione privata. (…)

Un sacco di buone idee, un gusto per l’invenzione dal sapore enigmistico, spostamenti millimetrici che cambiano il senso di tutta la storia (come poi accade nella vita, anche se ogni tanto ce ne scordiamo). E poi precisione e tecnica: un serio, artigianale, rispettoso e rispettabile lavoro d’attore. Merce rara, di cui si sente ogni giorno di più la mancanza. In Come va a pezzi il tempo, in sintesi, c’è in abbondanza ciò che in teoria dovrebbe esserci sempre, quando si va a teatro: il teatro.

Impauriti e incerti, caracollanti e perfettamente muti, si apre davanti a noi quel “Come va a pezzi il tempo” (Progetto Demoni) che pian piano ci toccherà tutti (portando qualcuno alla commozione), sospensione tra le varie stanze di questa casa minima dove una coppia ha percorso ed esaurito il suo sciame di sentimenti e vertigini, passando dall’euforia del “per sempre”, allo stallo dell’ormai, alla noia del purtroppo, alla rovina insopportabile della presenza dell’altro.

L’ULTIMO VALZER DI ZELDA

di e con Alessandra Crocco e Alessandro Miele
luci Angelo Piccinni
produzione Ultimi Fuochi Teatro

La drammaturgia si nutre della biografia e del mondo poetico dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald e di sua moglie Zelda, protagonisti di successo della “lost generation” degli anni ’20. Insieme passano da una festa all’altra nel clima di spensieratezza dell’Età del jazz fino alla grande crisi del ’29 che coincide con l’inizio della schizofrenia di Zelda, la depressione di Scott e la crisi del loro matrimonio. Alla fine lui muore di cuore a 44 anni, lei nell’incendio dell’ospedale in cui era ricoverata.

Li rievochiamo in scena come due presenze evanescenti per raccontare la storia di un fallimento. L’età dell’oro è lontana, forse non è mai esistita, è solo un’invenzione.

Come noi trentenni di oggi, Scott e Zelda hanno vissuto il benessere di un’epoca incosciente e si sono ritrovati adulti tra le macerie di una crisi. Resta la disillusione, il vuoto e lo sforzo disperato per rialzarsi.

Attraverso lettere e stralci di racconti e romanzi, ricostruiamo in scena la storia dei coniugi Fitzgerald alla ricerca di un cortocircuito tra la loro epoca e il presente.  L’allestimento è essenziale e può adattarsi a diversi spazi

[...] cercò di sezionare la storia in piccoli frammenti per poterla immagazzinare e comprese che la qualità di una vita in generale può essere diversa dai singoli frammenti e che a 40 anni la vita si può osservare solo frammento per frammento.

Francis Scott Fitzgerald

Per la costruzione dello spettacolo ci siamo ispirati al collage, tecnica artistica che comincia ad affermarsi proprio agli inizi del Novecento. Come Fitzgerald nei suoi taccuini, abbiamo fatto collezione di momenti ritagliandoli da diari, lettere, romanzi e racconti di Scott e Zelda. Mescolandoli e incollandoli in scena, ci siamo ritrovati a confondere la biografia con la rielaborazione artistica del romanziere e le intuizioni della sua sorprendente moglie. In scena si avvicendano con la velocità dei ruggenti anni ’20 alcuni momenti della loro giovinezza spensierata. Il boom economico prospettava possibilità infinite e sembrava che nessuno avesse il diritto di fallire. Ma nella velocità e negli eccessi vanno dissipandosi le energie migliori di un’intera generazione e Scott e Zelda si ritrovano ad affrontare gli anni bui della Grande Depressione. Il collage assume forme più inquietanti e distorte per raccontare il crollo di una Nazione, di una donna devastata dalla schizofrenia, di uno scrittore in crisi che per nove anni scrive e riscrive lo stesso romanzo. Come un piatto crepato le loro vite sono incrinate per sempre

“Mettendo in scena le luci e le ombre di quella che fu, incastrata tra realtà e finzione, la coppia più chiacchierata d’America, Zelda e Francis Scott Fitzgerald, i due attori dipingono il chiaro scuro di un’epoca che a tratti appare come terribilmente contemporanea.”

DEMONI – FRAMMENTI

Di e con Alessandra Crocco e Alessandro Miele 
Produzione Progetto Demoni / Ultimi Fuochi Teatro

DEMONI – FRAMMENTI sono brevi performance per uno o pochi spettatori ambientate in luoghi non teatrali. Dense, irriducibili, dirette, intime, portano lo spettatore al cuore di un avvenimento. In pochi minuti si dissolvono le linee di confine (attore/personaggio, spettatore/personaggio, realtà/finzione) per permettere allo spettatore di vivere, in un presente sospeso, un incontro capace di lasciare il segno.

Sospendete la vostra incredulità, mettete in stand-by il mondo intero ed entrate. I frammenti sono echi nostalgici di un romanzo finito da tempo. Pezzi di una storia tradita lo stretto necessario. Momenti “in cui a un tratto, come nel fuoco di una lente, si concentra tutta l’essenza della vita: tutto il passato, tutto il presente e, magari, tutto l’avvenire”.

La sfida è superare la propria menzogna, arrivare al cuore, afferrare e mostrare qualcosa di sfuggente ma vivo. Il fuoco è sui personaggi, schiacciati per metà sotto il peso di un’idea, continuamente divorati da un demone. Dostoevskij è la guida.
“Risvegliandoci dai suoi libri sentiamo che egli ha appena toccato qualche punto segreto che appartiene alla nostra vera vita” (André Gide).

Ci sono le parole e i personaggi di Dostoevskij, talmente distillati da suonare semplici e da far vibrare archetipi letterari legati all’abbandono, al tradimento all’amore. Poi c’è un’attrice molto brava, e accade così di essere trapassati da uno sguardo e allo stesso tempo di poter osservare per pochi interminabili minuti le sfumature di un’anima, come accade nelle pagine dei grandi romanzi russi. E infine ci siamo noi (tu, io…), il pubblico, in entrambi i casi invitato a partecipare uno per volta, da soli, guardando e ascoltando non da spettatori, ma da personaggi; anche noi precipitati improvvisamente dentro la storia.

Rodolfo Sacchettini – Altre Velocità

FINE DI UN ROMANZO

Di Alessandra Crocco e Alessandro Miele
Con Alessandra Crocco, Giovanni De Monte, Rita Felicetti, Alessandro Miele, Maria Rosaria Ponzetta.
Luci Angelo Piccinni
Suoni Daniela Diurisi
In coproduzione con Fondazione Campania dei Festival. Con il sostegno di Cantieri Teatrali Koreja, Kilowatt Festival e Masseria Protocaos

FINE DI UN ROMANZO è quel che resta de “I demoni” di Dostoevskij. Il romanzo è andato in frantumi. Solo alcuni momenti continuano a risuonare. Sono universali perché umani, ci parlano perché ci riguardano. Rivelano gli eterni inciampi e i nodi irrisolti del vivere. Raccontano un mondo in cui i mediocri sguazzano nel fango e i puri soccombono. “Guardatele arrampicarsi, queste agili scimmie! Si arrampicano una sull’altra e così una trascina l’altra nel fango e nell’abisso. Vogliono arrivare tutte al trono: è la loro follia. Come se sul trono fosse assisa la felicità! Spesso sul trono è assiso il fango. Anzi, spesso anche il trono sta sul fango”. (Nietzsche)
In scena cinque figure impantanate nel fango. Sono vite finite ormai da tempo ma condannate a ripetersi fino all’esaurimento. Procedono per salti inseguendo ricordi che si fanno sempre più confusi, folli e grotteschi. Alcune di loro, ultima eco di un mondo mitico, tornano a brillare solo a tratti e riescono a sussurrare appena qualche parola. Altre invece continuano ad affaccendarsi in un fantomatico progetto politico che ha come unico obiettivo la distruzione. La furia nichilista di questi demonietti non accenna ad esaurirsi, anzi si adatta a ogni epoca prendendo a prestito canzonette e balli per fare nuovi proseliti. Siamo alla fine di una civiltà fatta di vuoto, frivolezza, menzogna, apparenza, mancanza di radici. “Non c’è nemmeno nulla che possa crollare… Da noi non cadranno pietre ma tutto si scioglierà in fango”.
(Dostoevksij, “I demoni”)

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